Fine era la parola che aspettavo di sentirti dire
All’oratorio di Storo una serata per parlare di gioco d’azzardo patologico
“Avevi detto che sarebbe stata l’ultima volta. Lo avevi giurato. Mi hai guardato dritta negli occhi e hai messo la parola fine a uno dei capitoli più tristi e travagliati della nostra vita.
Fine. Lo hai ripetuto più volte. Fine era la parola che aspettavo di sentirti dire.
L’entusiasmo di quel momento è stato così intenso che affrontare un fallimento è quasi straziante ora. Pensavi che non me ne sarei accorta. Credevi di potermi sfuggire e invece… poco fa ti ho sentito frugare nelle tasche del mio cappotto, ti ho visto infilare le scale di soppiatto e percorrere una strada che apparentemente porta verso il bar all’angolo ma, in realtà, ti ha condotto anche oggi, nonostante tutte le tue promesse, verso un amico che ti sta isolando silenziosamente, distruggendo lentamente e allontanando da me e da tutti i tuoi affetti. Il tuo (ne)mico si chiama gioco d’azzardo e la battaglia che ci siamo ritrovati a combattere insieme è quella contro una dipendenza.”
Una breve storia di fantasia per riassumere in poche righe buona parte delle dinamiche che ruotano attorno alla dipendenza da gioco d’azzardo. Menzogne, isolamento e impotenza sono solo alcune delle caratteristiche di questa profonda piaga sociale che soprattutto negli ultimi anni ha colpito indistintamente persone di sesso, ceto ed educazione differenti, portando sulla soglia della povertà (economica e affettiva) circa 800 mila italiani. Difronte ad un fenomeno tanto sconvolgente, chi opera in ambito sociale non può restare indifferente: ecco perché Croce rossa italiana – gruppo Valle del Chiese, in collaborazione con Caritas Decanale di Condino e Oratorio di Storo ha promosso una serata informativa dal titolo “Giocare responsabilmente? Il sottile confine tra gioco e patologia”.

Serata informativa gioco d’azzardo
Mercoledì 2 maggio la sala del teatro dell’oratorio di Storo si è trasformata per una cinquantina di persone in un luogo di riflessione e confronto dove conoscere il gioco d’azzardo, la sua diffusione e il suo epilogo più tragico: la dipendenza. Guidati dalle voci esperte dell’educatrice Monica Sadler e dello psicologo Michele Zagni, i partecipanti all’incontro hanno dapprima imparato a riconoscere il gioco d’azzardo in un’attività basata sul binomio fortuna-denaro che fa leva sulla parte sommersa dell’iceberg emozionale che vive in ciascuno di noi, per poi comprendere come affrontare questo fenomeno nel quotidiano.
Frequentare locali (bar, ristoranti, pub ecc.) che, a discapito dei propri interessi economici, scelgono per responsabilità sociale di rinunciare all’introduzione del gioco d’azzardo al loro interno è sicuramente il primo passo verso un buon costume che sarebbe bello si diffondesse a macchia d’olio. La vera sfida da superare nel 2018, tuttavia, è quella contro l’indifferenza. Saper riconoscere le persone che hanno oltrepassato il sottile confine tra gioco e patologia, percepire il loro disagio e aiutarli concretamente non prestando denaro ma suggerendo loro di rivolgersi a professionisti operanti nell’ambito delle dipendenze, può essere l’attacco decisivo nella guerra contro la dipendenza.
Se “fine” è davvero la parola che tutti noi vogliamo mettere al gioco d’azzardo patologico, la collettività deve iniziare subito a prestare attenzione agli invisibili, a quelle persone che hanno scelto forse il modo peggiore per far uscire le proprie emozioni inespresse perché, come diceva Freud, “Le emozioni inespresse non moriranno mai. Sono sepolte vive e usciranno in un modo peggiore”.
Che si tratti di una moneta infilata frettolosamente in una slot machine, dei numeri sognati la notte prima e subito giocati sulla ruota di Venezia oppure del gratta e vinci acquistato al bar con il resto del caffè, occorre ricordare sempre che tutte queste azioni portano il nome di gioco d’azzardo e come tali, dietro i loro colori, le loro false promesse e il loro senso di libertà celano un prigione piena zeppa di… invisibili. (jr)