Dopo 1568 giorni, tutti fratelli!
“Tutti fratelli!” Questo avranno pensato 100 anni fa quel lunedì 11 Novembre gli uomini impegnati da più di 4 anni sul fronte occidentale della Grande Guerra quando ognuno ha visto il proprio nemico dall’altra parte della pianura abbandonare a terra le armi e uscire dalle trincee. Non erano più nemici da uccidere; non erano più un pericolo. Erano ritornati a essere dei contadini, degli operai, dei semplici cittadini di uno stato diverso dal loro. Erano ragazzi strappati alle proprie famiglie e portati con lunghi treni al fronte dopo un addestramento che nei mesi di guerra era diventato sempre più breve.
“Tutti fratelli!” questo è stato anche il motto che le donne di Castiglione si dicevano l’un l’altra per darsi forza e aiutare i feriti nella battaglia di Solferino, quelle donne che stavano aiutando i soldati di due eserciti stranieri, invasori.
11 Novembre 1918, ore 11:00: l’armistizio tra gli eserciti belligeranti della Grande Guerra entra in vigore. Milioni di soldati impegnati nelle battaglie possono ritornare a casa dai propri cari. Entra in vigore la PACE. Per la prima volta questa parola ha un valore univoco per tutto il mondo: ci si rende conto che la pace è una condizione che va difesa e non è scontata. La libertà delle persone, il loro sviluppo, il loro benessere dipende dal fatto che ci sia la pace.
La storia ci consegna quel conflitto come “Prima guerra mondiale” ma al tempo era ricordata come “Grande guerra” perché era stata la guerra più grande di tutte le altre, che aveva coinvolto il maggior numero di stati, 23, il maggior numero di persone, 70 milioni di cui 60 solo in Europa, il maggior numero di morti, 17 milioni di cui 7 milioni di civili. Su una popolazione di 989 milioni di persone quasi il 2% della popolazione era morto per causa della guerra. Solo in Italia, su una popolazione di 36,7 milioni di persone, 1,2 milioni di queste morirono in guerra. La tecnologia aveva stravolto il modo di combattere: le armi chimiche, i nuovi esplosivi, il motore a scoppio, gli aerei e soprattutto i treni usati per movimentare truppe e materiali.
Cento anni dopo una piccola delegazione della Croce Rossa Italiana del Comitato di Trento omaggia con un cuscino il monumento ai caduti Austriaci e Italiani del cimitero monumentale di Trento il ricordo di una pace agognata e sperata dalle truppe e dalle famiglie che le aspettavano a casa. La lontananza e le notizie incerte sono una cosa che accomunava da sempre le guerre e che anche nella Grande guerra era sentita dalle truppe e dalle famiglie. (le)
«Tu non puoi figurarti quanto è commosso il soldato quando vede comparire l’ufficiale dei bagagli incaricato della distribuzione delle lettere all’armata; si è ch’ei ci reca, tu vedi bene, delle notizie della Francia, del paese, de’ nostri parenti, de’ nostri amici! Ognuno ascolta, guarda e tende verso di lui avidamente le mani. I fortunati, quelli che hanno una lettera, l’aprono precipitosamente e la divorano in un batter d’occhio, gli altri, i diseredati, si allontanano col cuore grosso; e si ritirano in disparte per pensare a quelli che son rimasi laggiù. Qualche volta si chiama un nome al quale non vien risposto. È un guardarsi, un interrogare, un attendere: Morto! mormora una voce; e l’ufficiale ripone quella lettera, che ritornerà, senza essere dissuggellata, a quelli che l’avevano scritta. Erano allegri allora quelli, si dicevano: come sarà contento, quando la riceverà! E quando la vedranno tornar indietro, il loro povero cuore si schianterà» (H.D., “un ricordo da Solferino”)